Vincenzo Russo
A cura di Gianpaolo Necco
Vincenzo Russo è poeta e scrittore che punta al sociale: lo fa osservando i mali di questa nostra società, spesso inserendosi tra i protagonisti delle sue storie che sono sempre tratte dal vero, lasciando poco spazio all’inventiva, preferendo raccontare ciò che occhi e orecchi vedono e sentono, stimolando la sua innata sensibilità verso chi soffre, e ben si integrano con la sua formazione caratteriale geneticamente salda.
Lo si riscontra nei suoi scritti precedenti che raccolgono poesie (Intorno a te, ed. Spring) dove in versi descrive le cattiverie della violenza a trecentosessanta gradi, come per esempio quelle delle due torri di New York, dei soldati italiani uccisi a Nassirya e, ancora, le uccisioni di Falcone e Borsellino o le preghiere del Papa e suor Maria Teresa di Calcutta, contro i peccatori artefici di violenze inaudite ed impensabili ma purtroppo anche segno in negativo dei nostri tempi.
Oppure, quando parla dei viaggi della speranza (Il treno dei sogni, ed. Spring) fatti con i malati, derelitti spesso trattati come cittadini di serie b, che affrontano il lungo percorso fino a Lourdes tra mille disagi per chiedere il miracolo di una esistenza più umana, confidando nell’aiuto divino.
La sua creatività di scrittore che osserva i fatti della vita lo convince a scrivere un testo teatrale (Che fine ha fatto la cicogna, ed. Boopen Led) dove ogni personaggio, rigorosamente napoletano, recita sul palcoscenico della sua città nel migliore dei modi: servendosi con la semplice e teatrale originalità, insita nel proprio dna.
Russo sa essere anche ironico, facoltà che esterna e manifesta nel racconto dei ragazzi della sua città, San Giorgio a Cremano in provincia di Napoli, coi quali metteva a soqquadro piazze, scuole e negozi in un tempo non lontano in cui ai giovani si guardava con compiacenza e sorrisi e non con diffidenza che oggi li identifica, molto spesso erroneamente, come componenti in negativo di baby gang. Nel volume (Radio Giuseppina, ed.Boopen Led) i ragazzi di San Giorgio, che non emulano i coetanei di via Paal (dove, tra l’altro, il protagonista muore), ma ne fanno di tutti colori, risvegliando in ognuno di noi adulti ricordi similari alle loro goliardiche gesta.
Tra le sue pubblicazioni numerosi i racconti e altrettante le raccolte di poesie con le quali ha vinto numerosi premi e riconoscimenti, sempre mettendo la persona al centro di tutte le cose di questo mondo che sempre, però, sottopone alla tutela del Divino Creatore.
Sembra quasi naturale, quindi, che Vincenzo si affacci nuovamente su un altro aspetto della società considerato “moderno”, (ma, pensandoci bene, assai vecchio e mai denunciato), osservando un fenomeno che affligge non pochi lavoratori che diventano, loro malgrado, dei perseguitati da un male che oggi chiamano “mobbing”, tanto che il Parlamento italiano, mutuando quanto si dice in etologia a proposito degli animali e cioè l’insieme dei comportamenti aggressivi, adottati da certe specie di uccelli per difendersi da un predatore, ha votato una apposita legge con la quale si condanna la sistematica persecuzione esercitata sul posto di lavoro da colleghi o superiori nei confronti di un individuo, consistente per lo più in piccoli atti quotidiani di emarginazione sociale, violenza psicologica o sabotaggio professionale, ma che può spingersi fino all’aggressione fisica. Una legge che però, stando ai si dice e visto quanto ancora accade, non sembra voler decollare ovunque, sul nostro territorio.
Ed è grave perché il mobbing, come prima conseguenza, può portare alla depressione e non a caso è definito male sottile, sotterraneo e subdolo. Facile dedurre che questa malattia che, a mio avviso, non è errore definire “sociale”, si genera inevitabilmente quando un individuo suscita invidie e gelosie e per questo diventa un ricattato, emarginato ed esposto al ludribio di tutti come persona incapace, colpevole di realizzare il suo successo lavorativo attraverso convinzioni, metodi e capacità proprie. Questo è il mobbing, e lo confermano anche gli autorevoli studiosi nelle relazioni che accompagnano il nuovo lavoro di Russo.
Andando alla vicenda narrata, si scopre che il mobbing non è solo questo, ma molto di più se solo si ha la pazienza di leggere quanto accade alla protagonista di questa storia, che Vincenzo Russo ha come sempre preso da un fatto veramente accaduto.
La protagonista, Marirò, dopo aver visto realizzato il suo sogno di lavorare per una grande azienda e dimostrato il proprio valore, per la cattiveria e la prepotenza di altri s’è vista coinvolta in un vortice di maltrattamenti, emarginazione e solitudine che l’hanno prima sprofondata in una forte depressione e poi costretta ad agire per vie legali per difendere il suo posto di lavoro, tutelando la sua dignità , tentando invano di sconfiggere la depressione di cui suo malgrado è ancora vittima, nonostante le continue cure di medici specialisti.
La denuncia dello scrittore è l’ennesima di tanti episodi di mobbing che si leggono poco sui quotidiani e in tv; la pubblicazione di questo libro, diario sconcertante di una giovane donna, non mancherà di scuotere il mondo del lavoro, riguardando sia chi comanda che chi esegue, e non ci sono scusanti che reggano quando è in ballo la serenità quotidiana di ognuno di noi.
Gianpaolo Necco, giornalista.
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"Il mobbing ai tempi di cenerentola"
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Sezione di Ottaviano (Na)
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